HomeTempo liberoThe Whale (film 2022): come la depressione uccide una famiglia (recensione con...

The Whale (film 2022): come la depressione uccide una famiglia (recensione con spoiler)

Di cosa è morto Charlie? Come sarebbero potute avvenire le cose? Il killer silenzioso è ancora l'ipertensione? Cosa ne pensa uno specializzando in psichiatria

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The Whale (film 2022): come la depressione uccide una famiglia (recensione con spoiler)

Di cosa è morto Charlie? Come sarebbero potute avvenire le cose? Il killer silenzioso è ancora l'ipertensione? Cosa ne pensa uno specializzando in psichiatria

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Trigger warning: depressione, suicidio, intervento sanitario obbligatorio, binge eating desorder

Dear Fellow Journeymen:

One last lesson:

Fuck these ridiculous essays.

FUCK the readings.

JUST WRITE ME SOMETHING HONEST.

Charlie, il protagonista del film.

Onesto: non immaginavo che nel film del 2022 “The Whale” si parlasse di depressione.

Il protagonista, Charlie, cade in depressione con condotte di abbuffate e obesità grave dopo che il compagno, omosessuale, era caduto a sua volta in depressione (suicidandosi infine) in seguito allo stigma di suo papà e della intera comunità religiosa a cui apparteneva.

La ex moglie di Charlie, con una forte dipendenza di alcool, è depressa anche essa. La figlia, verosimilmente con forti tratti personologici, non se la passa tanto bene neppure lei. E vogliamo parlare del ragazzo che era scappato anche esso dalla comunità religiosa perché cattato a fumare erba?

Mai avrei creduto che uno psichiatra potesse esser così – potenzialmente – utile a una famiglia.

Più guardavo The Whale e più pensavo a quanto siamo fortunati noi in Italia ad avere uno straccio di sanità pubblica. Che fa pietà, ok, ma meglio di nulla. In America c’è meno stigma, vero, delle malattie mentali, ma forse si sente di più il senso del fallimento.

YEs, you can

parafrasi del famoso slogan

Il fattore del “self made man” americano, per cui Lui può tutto e, come conseguenza di ciò, significa che se non riesce allora è perché è anche e soprattutto colpa sua.

In The Whale, forse, questo sentiment non si percepisce molto, ma quello che ho davvero apprezzato è la realisticità e crudezza di molte scene. Di come la malattia sia dipinta in tutti i suoi aspetti: da quello che la persona pensa di sé e di come le persone intorno a lui, seppur in modi variabili vogliano aiutarlo, spesso peggiorano la situazione alimentando i sensi di colpa.

E poi, l’infermiera, molto combattuta. Onestamente non ho ancora capito la confusione che gli regna in testa, se lo facesse apposta oppure no di esortare il protagonista a curarsi, monitorandolo pure lei, eppure portandogli sempre laudi pasti da re, manco provandoci a proporre alternative migliori.

E poi la scena della carrozzina.

Proposta al protagonista come strumento per fare più esercizio fisico. Ma dove? La carrozzina gli serviva, perché col deambulatore davvero non riusciva più a tirarsi dietro, ok, ma dare una carrozzina a un uomo così è sicuramente un segnale per spingerlo ancora meno ad alzarsi per muoversi. Un adagiarsi.

A parte questi aspetti, trascurabili, The Whale è un film che fa tanto riflettere e può lasciare lo spettatore davvero con un senso di incompletezza.

Noi osserviamo solo gli ultimi giorni di vita del protagonista. Ci facciamo appena l’idea di quella che è stata la sua esistenza, come qualche tratto di pennello sulla tela, appena un accenno di quello che sarà il dipinto finale. Eppure sappiamo quello che ci basta per esperire la sofferenza di Charlie.

E Charlie sta male. Charlie muore di arresto cardiaco? Si, come ultimo evento. Ma se dovessi cercare di ricostruire cosa avrei scritto sulla scheda di notifica all’INPS, la constatazione di decesso, nella sezione dedicata alla ricostruzione degli eventi che hanno condotto all’exitus, forse avrei pochi dubbi:

  1. depressione maggiore, evento singolo, grave
  2. binge eating disorder
  3. obesità grado III
  4. Insufficienza cardiaca congestizia
  5. insufficienza cardiaca acuta
  6. arresto cardiaco

Più guardavo il film e più pensavo a come Charlie sarebbe potuto esser aiutato.

Ma charlie non vuole il tuo aiuto!

l’osservatore attento del film

Vero. Ed è praticamente impossibile aiutare chi non vuole esser aiutato. Ma, di fatto, in tali contesti è molto importante capire le ragioni che spingono la persona a non voler esser aiutata. E in tale contesto la ragione principe è il senso di hopelesness che la patologia fa esperire maggiormente e, secondariamente, i soldi.

Ma Charlie aveva il grano, ma lo voleva dare a sua figlia, perché lui si vedeva già sbagliato, irrimediabilmente schifoso, orribile, a tal punto che sperava di riuscire a dare quei soldi alla figlia per avere la certezza di aver fatto “almeno una cosa giusta nella vita“.

Charlie, all’apice del suo malessere, lascia intravedere un po’ della malattia. In lacrime, difronte alla figlia.

Ma come curi una depressione con comorbidità un disturbo della alimentazione in una persona che non vuole farsi aiutare? Questa è la sfida. Ma questa è anche una cosa che – forse ti sembrerà incredibile – è difficile pure da riconoscere.

Come la depressione della ex moglie di Charlie, instauratasi verosimilmente dopo la separazione. Non tutti, ma chi va uso alcolico smodato, spesso, lo fa “per dimenticare“, aka per “medicarsi da soli la depressione“. Peccato che l’alcool, essendo depressogeno sul sistema nervoso centrale, non fa altro che alimentare una spirale distruttiva.

Ricapitolando, ma come diamine si sarebbero potuti salvare tutti?

In Italia, con buona coscienza del medico curante o, ancora prima, degli amici (e nel film si ha anche una IP, Infermiera Professionale), si sarebbe potuto disporre comunque un ASO, ossia un Accertamento Sanitario Obbligatorio, ossia una visita psichiatrica a cui non puoi sottrarti. Non vuoi? Arrivano i caramba a portarti in ospedale. Spesso a questo fa seguito un Trattamento Sanitario Obbligatorio (il famoso TSO).

Charlie, ma ancora prima, il compagno, sarebbero possibilmente ancora vivi. Eppure sono cose che solo gli addetti ai lavori conoscono.

Liz, IP non dei servizi psichiatrici, non lo sapeva. Ma – diamine dico io – come ha preso la sedia a rotelle dopo aver parlato con un medico di PS, perché diamine Liz non ha chiesto aiuto a uno psichiatra?

Eppure, caro lettore, queste cose, così apparentemente aggrovigliate e prive di soluzione, per cui però una visione più chiara si può almeno provare a dare, ci sono e accadono ovunque.

In ultima analisi, The Whale, con ogni suo aspetto, ci fa capire quanto dannatamente sia difficile chiedere aiuto. Una cosa scontata per i più, forse, ma che si deve imparare a fare.

Ranieri
Ranierihttps://www.ranierisdesk.com/
Mi chiamo Ranieri Domenico Cornaggia, sono laureato in medicina e mi piace la tecnologia, il fitness e gli scacchi. Amo gli animali e le sfide!
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